“[…] Le distruzioni fatte dai primi spagnoli, arrivati nel 1528, furono così grandi che persino qualcuno di loro ne provò rimorso: Pedro Cieza de Léon, un cronista del periodo della conquista, scrisse più tardi:<<Di sicuro non è un piccolo dolore constatare che quegli Incas, gentili e adoratori di dèi, abbiano mantenuto un buon ordine nel governare e conservare terre così ampie, mentre noi, che siamo cristiani, abbiamo distrutto tanti regni. Ovunque ci siano conquistatori ed esploratori cristiani non sembra esserci altro che fuoco e distruzione, e tutto va in rovina>>.
I colonizzatori spagnoli distrussero una grande civiltà, disarticolarono l’agricoltura razionale e la conservazione della natura, provocando la grande desertificazione delle Ande. Per l’invasore, era più importante estrarre e appropriarsi dell’oro e dell’argento che prendersi cura delle piante e degli animali.
Per puntellare le gallerie delle miniere e per fondere i metalli, tagliarono boschi immensi, schiavizzarono interi popoli, che in precedenza si dedicavano alla cura del terreno, e li obbligarono a introdursi in profonde gallerie per estrarne i metalli preziosi.
Così scomparve il 95% della popolazione, il 75% delle terre coltivate e la quasi totalità dei boschi esistenti dalla costa alla sierra. Con questo ebbe inizio il degrado ecologico del Perù. […]”
(H. Mamani, Negli occhi dello Sciamano)
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